L’altro giorno mi sono
trovata a parlare con un’altra madre. Si discuteva di allattamento. Lei, pur
sapendolo già, mi fa la fatidica domanda “ma gli dai l’aggiunta?”, chiedendolo
con il tono con cui si chiede questa cosa, ovvero “se gliela dai dillo a bassa
voce e un poco vergognati”, io le rispondo che “sì, la do” e lei replica
soddisfatta “ah! io solo latte mio”. So per certo che questa donna da anche il
latte artificiale al figlio (non vi racconto il perché io lo sappia visto che è
una storia lunga). Adesso so per certo che lo fa di nascosto, come se stesse
rubando, come se stesse facendo qualcosa di male per sé e per suo figlio,
magari raccontandosi chissà quale storia per giustificare la necessità di
mentire agli altri. Lì per lì ho pensato “Poraccia
questa, Dio Santo!”. Poi mi sono ricordata che qualche mese fa, ero ancora incinta,
ho visto una donna piangere perché al sesto mese forse avrebbe dovuto dare la
famosa aggiunta al figlio. L’ho vista poi sentirsi in dovere di giustificarsi con
me sul fatto che avesse dato una volta l’aggiunta ma poi mai più, “giuro”, perché
non ce n’era bisogno, tranquilli tutti, il latte suo c’era ancora, “ricordi
quando ho dato la bottiglia? no…poi si è risolto…”.
Io neanche me ne
ricordavo. Non sapevo manco cosa fosse l’aggiunta. Soprattutto, non me ne
poteva fregare di meno.
Ho saltato alcuni
incontri del corso preparto. Quelli in cui si parlava del parto cesareo, perché
le ostetriche tendevano a fartelo apparire come una specie di mattanza in cui
avresti combattuto tra la vita e la morte e tuo figlio ne sarebbe uscito di
sicuro emotivamente provato, non avresti potuto prenderlo in braccio, poi depressione
post partum e via dicendo. Ok, è pur sempre un intervento. Ok, è pur vero che
spesso si fa inutilmente perché al ginecologo fa comodo così, ma io mi sono
detta “se in quel momento mi troverò a dover fare un cesareo di urgenza? Come reagirò
con tutti questi racconti del terrore nella testa?”. Ho risolto: all’incontro
informativo sul cesareo non sono andata.
Faccio un salto in avanti,
ho partorito già da un paio di mesi, naturalmente, senza epidurale, mille punti
in più agli occhi di quelli che te lo chiedono, incontro un’altra ragazza che
ha partorito, mi dice “io non ce l’ho fatta, ho dovuto fare il cesareo”. Me lo
dice con lo stesso tono con cui forse avrei dovuto dire a quella che mi
chiedeva dell’allattamento “io do l’aggiunta”.
Faccio un salto indietro.
Ho partorito da pochi giorni, incontro una ragazza della mia stessa età, senza
che le avessi chiesto nulla mi dice che lavora troppo per avere un figlio, poi
mi chiede se stessi lavorando, io le rispondo di no, lei dice “quindi sei mamma
full time”.
Penso tra me e me che “mamma
full time” è una delle espressioni più raccapriccianti che abbia mai sentito
nella mia vita. Detta da una donna poi mi stride ancora di più. Perché si può
essere mamma part time. Perché una madre che lavora è una madre part time,
quindi un po’ sfigata. Una madre che non lavora è madre full time, quindi
niente realizzazione professionale, allora sfigata pure lei.
Ho ripensato a tutte
queste cose e mi sono chiesta “quando è successo?”.
Quando è successo che
siamo diventate “il modo in cui partoriamo?”
Quando è successo che
siamo diventate “qualcuno” ai nostri occhi se partoriamo e se lo facciamo “naturalmente”?
Quando è successo che
siamo diventate delle eroine se allattiamo?
Quando è successo che
diciamo “full time” e “tempo determinato” anche quando parliamo di maternità?
Chi lo ha deciso?
Possibile che proprio noi
donne, non sappiamo raccontare alle altre donne che il nostro corpo ha la
possibilità di partorire e di allattare nella misura che più gli appartiene senza
utilizzare altro strumento che sia il terrore o il ricatto della “sconfitta”?
Perché noi donne non sappiamo insegnare alle altre donne che siamo di più e soprattutto "altro" dal modo in cui partoriamo, allattiamo e gestiamo o non gestiamo la maternità?
Non so di chi sia la
colpa. Non so perché abbiamo iniziato a giustificare le nostre scelte. Ma so che spesso l'impietosa "sentenza di colpevolezza" non esiste.
Almeno non fuori dalla nostra testa.
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